La data del 25 aprile rappresenta per gli italiani non solo un momento celebrativo, legato al ricordo della lotta contro l’occupazione nazifascista, ma anche l’occasione per riflettere sull’attuale stato delle istituzioni democratiche che da quella lotta sono nate. Quest’anno, in particolare, il giorno della Liberazione si carica di un significato speciale per la comunità larianese, alla luce delle notizie in gran parte inedite riguardanti un giovane della nostra città, Vincenzo Abbafati, nome di battaglia Leone.
Nato il 5 dicembre 1923 da una famiglia contadina, era il secondogenito di Isaia Abbafati e di Anna Pantoni, che morì quando il piccolo aveva solo due mesi; così Isaia gli diede una nuova mamma sposando la giovane Maria Peruani. Oltre a Edola e Vincenzo, nati da Anna, la famiglia si ampliò con la nascita di Marcello, Silvano, Elvia e Achille, nati da Maria. Vivevano in capanne e lavoravano la terra.
La storia di Vincenzo mi è stata raccontata da Silvano, nato nel 1927, che era teneramente legato a questo suo fratello maggiore e ne ricorda commosso la generosità e l’impegno in famiglia, prima che scegliesse di arruolarsi nell’esercito italiano.Vincenzo viene mandato a Firenze, dove frequenta la scuola per sottufficiali: qui vengono a fargli visita i genitori, che hanno dovuto farsi prestare i soldi per affrontare le spese del viaggio. Ordini superiori ne comandano il trasferimento a Torino, città in cui raggiunge il suo corpo di appartenenza.
Dopo la caduta del fascismo e l’armistizio con gli Alleati firmato dal nuovo governo Badoglio, Vincenzo decide di abbandonare Torino e di unirsi alla lotta partigiana. Sono giorni concitati e drammatici, come ben sappiamo, ma questo ventenne ha fatto la sua scelta: da un compagno ha avuto l’indirizzo di una famiglia del biellese, quella degli Antonietti, impegnata attivamente nella Resistenza.
IL RACCONTO DI LINA ANTONIETTI
A raccontarci nei dettagli tutta la vicenda è Lina Antonietti, sorella di Quinto, un capo partigiano che comandava la Brigata Bandiera, la prima del Biellese; è lei che, finita la guerra e passato il pericolo di poter essere intercettata e scoperta, nell’agosto del 1945 scrive una lunga lettera alla famiglia Abbafati, scusandosi dell’impossibilità di venire di persona a Lariano. Nella sua missiva, che la famiglia Abbafati custodisce gelosamente, ricostruisce tutte le tappe della breve ma intensa adesione del nostro Vincenzo alla lotta per la Liberazione: a febbraio del ’44 il giovane si presenta a casa sua e chiede di unirsi ai partigiani; vuole essere accompagnato sulle montagne tra Biella e Vercelli, vuole raggiungere Quinto e non si lascia scoraggiare dalle difficoltà della guerra clandestina. Quel giovane, come dice Lina nella sua lettera, “…era pronto a fare tutto pur di non andare con i nazifascisti che avevano tradito la sua Patria”.
Da questi dettagli è possibile farsi un’idea dei sentimenti del giovane larianese, del suo eroismo, della sua generosità verso un’Italia che sentiva tradita e che voleva riscattare, anche a costo della sua stessa vita. Per noi, oggi, forse è difficile comprendere fino in fondo questo tipo di atteggiamenti, un tale attaccamento alla patria, una forza d’animo e un ardore che in parte abbiamo perso; ma proprio per questo, l’esempio di Vincenzo va ricordato e tenuto a mente, quasi un testamento spirituale da consegnare alle giovani generazioni, in modo da non dimenticare i sacrifici che hanno lastricato la strada dell’odierna libertà democratica, che spesso diamo per scontata.
Lina continua il suo racconto dicendo che Vincenzo si fermò a casa sua per cinque giorni, il tempo necessario per poter organizzare il suo trasferimento in montagna; giunto in quei luoghi impervi, lei lo descrive “…molto contento della fratellanza trovata lassù”, poi racconta le altre sue periodiche visite ai partigiani, riforniti di indumenti pesanti e di sigarette.
A colpire particolarmente è un’altra notazione di Lina, questa volta relativa ad un giudizio di Quinto sulla figura del giovane larianese; dice testualmente “…io pure ero contenta perché mio fratello aveva già potuto valutare il suo coraggio e Vincenzo era molto orgoglioso di essere al suo fianco unito ad altri miei fratelli e fratelli di lotta.”
Purtroppo la militanza partigiana di Vincenzo era destinata ad essere, sì intensa e profonda, ma altrettanto breve.
Lina racconta che, solo undici giorni dopo, esattamente l’11 marzo 1944, la brigata subì un durissimo attacco da parte dei nazifascisti, ma che dopo nove lunghe ore di battaglia la vittoria arrise ai partigiani. Il giorno successivo, però, ci fu un secondo tremendo attacco, che sorprese in un vallone i combattenti: probabilmente una spia aveva avvisato i nazifascisti, che questa volta costrinsero i partigiani ad una disastrosa ritirata, nel corso della quale si contarono diversi feriti, molti con i piedi congelati, e ben diciotto caduti. Tra questi vi era Vincenzo che, in quella battaglia, “… si distinse, lottò come un leone…”. I superstiti raccontarono poi a Lina il furore con cui il nostro giovane concittadino si batté fino alla fine, tanto da meritare appunto l’appellativo di Leone, e dissero che le sue ultime parole erano state per la sua famiglia, per la sorella e il fratello, anche lui lontano da casa, augurandosi che un giorno potesse tornare a Lariano. Ai compagni della sua breve ma intensa esperienza partigiana lasciò un forte monito: resistere. Era il 13 marzo 1944.
Il suo corpo rimase tra la neve di quelle montagne fino a quando fu raccolto e portato insieme agli altri caduti nel cimitero di Rassa, in Valsesia.
Qui ogni anno si svolge una cerimonia di commemorazione e, in occasione del decennale di quel tragico evento, nel 1954, il comune di Rassa eresse dei cippi con i nomi di tutti i caduti a perenne ricordo.
La lettera di Lina alla famiglia Abbafati si conclude con la speranza di potersi conoscere personalmente, cosa che però non è avvenuta, e con la sua affermazione che sarà ben lieta di “…abbracciare i familiari di un sì valoroso Garibaldino, che tutto ha dato per la libertà d’Italia”.
UN CADUTO DELLA RESISTENZA
Che Vincenzo Abbafati fosse caduto durante la Seconda Guerra Mondiale era fatto certo, tanto che il suo nome figura tra quelli incisi sulla targa marmorea posta in piazza Santa Eurosia, accanto alla stele dedicata al Milite Ignoto e ai caduti del primo conflitto mondiale; ciò che non era nota era la sua appartenenza alle file partigiane e il suo valore di combattente per la libertà italiana contro l’occupazione nazifascista.
Il culto imprescindibile della memoria storica e l’amore per la verità impongono a noi tutti di appropriarci di questo nostro glorioso passato, di trasmetterlo ai giovani e di farne il fondamento per la costruzione di una solida coscienza civile e democratica. Naturalmente, è da augurarsi che su questa figura di giovane partigiano possano essere compiuti ulteriori studi, in modo da consegnare a tutta la comunità larianese una parte importante e significativa del suo passato, per troppo tempo lasciata nell’oblio.
Si ringrazia l’Associazione “Memoria Novecento” che, con la richiesta di patrocinio al comune di Lariano per un video pubblicato in occasione del 25 aprile e per un testo che raccoglie le lettere dal fronte dei soldati di Velletri e Lariano, ha consentito di far luce su questa storia bella e importante. Ma il ringraziamento più sentito e commosso vaa Silvano Abbafati, fratello di Vincenzo, e a sua figlia Doriana che hanno messo a disposizione la lettera ricevuta nel 1945 da Lina Antonietti e alcune foto di Vincenzo.
Articolo a cura di MARIA GRAZIA GABRIELLI
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