Si chiama “All’osteria de i ‘gnoranti” il gruppo Facebook, tutto labicano, che ha avuto l’idea di curare un libro dedicato al dialetto di Labico. Il libro, dal titolo Dialettando, è stato presentato a Labico nel pomeriggio di sabato 29 agosto.Dialettando è stato curato da Anna Lucia Paris, Luigi Fioramonti, Luigina Frisina, Pinuccia Giuliani, Luciana Granati, Ruggero Mariani, Clementina Miele, Rosanna Palazzi, Lucrezia Trionfera e Giacomina Tulli. Il libro è stato sponsorizzato da CSAAL e Associazione Castello di Lugnano, patrocinato dal Comune di Labico.
È stata una presentazione tanto divertente quanto culturale: professori e docenti specializzati in linguistica hanno spiegato l’importanza del dialetto, mentre alcuni tra gli autori e curatori del libro hanno strappato sorrisi e risate al pubblico leggendo brani in dialetto.
Il libro è stato scritto lavorando sulla piattaforma di Facebook. Queste pagine rappresentano una pietra miliare della storia, cultura e tradizione non solo di Labico, ma di tutta l’Italia. Come ha infatti ben spiegato il Professor Gianmaria, ricercatore dell’ISALM (Istituto di Storia e di Arte del Lazio Meridionale):
“Noi oggi non parliamo più dialetto. Se anche riuscissimo a ricostruire il dialetto, non sarebbe lo stesso. L’italiano si è diffuso non grazie alla scuola, né grazie alle grandi strutture di massa, ma grazie alla televisione. È la televisione che ha sancito il passaggio dal monopolio del dialetto al monopolio della lingua italiana. Per questo, il dialetto di oggi, non è il “vero”, antico dialetto, ma è una sorta di metalinguaggio. E non è un caso se, ad oggi, non ci sia un Paese che non abbia studi sul dialetto. Questo fenomeno nasce perché c’è uno spirito nuovo, legato alla riscoperta delle comunità locali. È una sorta di reazione ai fenomeni macro nazionali, internazionali e, ancora di più, globalizzanti”.
La riflessione si è spostata su quanto i proverbi sappiano rispecchiare i rapporti tra Paesi: basta pensare all’antichissima rivalità tra labicani e valmontonesi… quanti proverbi o detti vengono in mente a tal proposito? Attraverso l’analisi del linguaggio è davvero possibile ottenere squarci di realtà. L’Italia dei molti dialetti ha necessariamente dovuto apprendere una lingua comune. Questo non significa però che sia giunto il momento di lasciarci i dialetti alle spalle: è il momento, semmai, di apprezzarli ancora di più e custodirli gelosamente. Come infatti nota Clementina Miele all’inizio della presentazione:
“Questo libro è frutto della nostra tradizione, dei nostri nonni, dei nostri avi. Attraverso l’uso del dialetto noi portiamo avanti ciò che siamo stati. Non è un caso se quando siamo particolarmente arrabbiati o particolarmente felici parliamo in dialetto: il dialetto è la lingua del sentimento!”
Il Professor Cecilia, ricercatore dell’ISALM, interviene facendo riflettere su quanto il dialetto sia il punto di congiunzione tra le nuove e le vecchie generazioni, tra gli anziani e i giovani. “La cosa bella”, aggiunge, “è che il dialetto lo possiamo parlare tutti: non serve andare a scuola per sapere il dialetto, anzi, il dialetto, con la scuola, si è inquinato. Il dialetto ha sempre saputo unire tutti: chi aveva la possibilità di studiare, chi non la aveva, i giovani, i vecchi, tutti parlavano il dialetto. È per questo che dobbiamo conservarlo: una volta scritto, è un punto di riferimento per chi c’è e un punto di partenza per chi verrà”.
Gli ultimi due interventi sono stati quelli del Dottor Silvestri e della Professoressa Cardinale, esperti in linguistica e dialetti locali.
La parte più affascinante della presentazione sono state le letture e gli interventi in dialetto: assaggi di storia e tradizione. Ed è per questo giusto concludere ricordando che “pure i puci tieu la tosse” e, soprattutto, “spoglia, spoglia erenu tutti stracci”!
Articolo a cura di ESMERALDA MORETTI
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